Salvatore Malorgio - Mietitura - 2019 - olio su tela - cm. 50 x 70
Carissimi amici tugliesi e non, questo è un lavoro che mancava alla serie di
“ Come Eravamo “, stralci di vita contadina degli anni cinquanta- sessanta.
In questa rappresentazione pittorica ho cercato di costruire quell’atmosfera
particolare, attraverso i miei ricordi già preventivamente assimilati dai
racconti degli anziani e poi vissuti in prima persona. Ho cercato di
proporre la ricostruzione della fase di mietitura del grano, cercando di
ricreare attraverso questa scena di vita agreste tipica di quegli anni,
epoca in cui la vita e il contesto sociale contadino erano indissolubilmente
legate alla terra e ai suoi prodotti e tra questi primeggiava il grano, da
cui il pane, fonte di sostentamento per eccellenza e quindi simbolo di vita.
Come sunto delle varie fasi di raccolta e utilizzo poso dire che le
operazioni di mietitura coinvolgevano in vari modi i componenti della
famiglia e occasionalmente, qualche aiutante esterno ad essa, scopo
fondamentale era quello di falciare il grano,, raccoglierlo e legarlo in
piccole fascine ( li mannucchi ), termine derivato da “ mano” , cioè quanti
steli di spighe la mano chiusa ne poteva contenere e poi a loro volta legati
in fascine di media grandezza atti al trasporto: Prima per il caricamento
sul carro e poi alla trebbiatura perché lo scopo ultimo era quello di
separare i chicchi di grano dalla spighe. Se l’operazione ultima di
separazione della granella dalla paglia avveniva in modo artigianale, dopo
la raccolta le spighe venivano trasportate e sparse nell'aia posta in un
pianoro ventoso, dove coppie di muli lo battevano con il calpestio dei loro
zoccoli a cui sovente si legava una zattera di legno che agiva sfregando gli
steli facendone uscire i chicchi dalle spighe. Per piccole quantità di
prodotto si usava ricorre in modo totalmente manuale all’uso di magli di
legno d’ulivo tramite battitura su una superficie livellata. Un contadino
poteva in un giorno battere da ottanta a cento chilogrammi di grano.
Condizione primaria era in ogni caso scegliere una giornata ventosa per la
separazione della pula. Per ultimo si procedeva all’insaccatura e al
trasporto in casa pronto alla macinatura e alla panificazione a seconda del
necessario fabbisogno della famiglia.
Reminiscenze sul tema :
Mio padre con cadenza mediamente biennale lo coltivava nel podere “
Pinculo” , l’unico pezzo di terra che avevamo e da dove in varie forme di
prodotti ( legumi, granaglie e olive ) usciva il sostentamento della nostra
famiglia . Il giorno prefissato per la mietitura ci si recava in loco di
mattina presto, io , mia madre , mio padre e solitamente uno o due lavoranti
a secondo della stima di che mio padre calcolava in modo che in giornata
doveva avvenire l’intera raccolta ed entro un determinata ora prima che il
sole ci aggredisse in modo feroce. In ambito contadino era d’uopo prestare e
farsi prestare qualche giornata di lavoro e così i contadini si aiutavano
con lo scambio di mano d’opera senza sborsare denaro che tra l’altro era
eternamente scarso. I ruoli erano predeterminati, gli uomini falciavano
e raccoglievamo in “ Mannucchi ), le donne ( mia madre ) ed io gli
raccoglievamo e li legavamo in piccole fascine usando come cordame una
brancata di steli dello stesso grano intrecciandoli con metodo semplice e
funzionale e poi li accantonavamo ammassati in un’area del campo. Se
avanzava qualche ritaglio di tempo fra una legatura e l’altra si cercava di
raccogliere le spighe singole che inevitabilmente cadevano per terra durante
la falciatura, comunque questa era un’operazione ce si riprendeva nei giorni
a seguire dove si setacciava tutta l’aerea dell’avvenuta mietitura con una
certa sofferenza della schiena, sempre curva per tante ore di raccolta
spighe e dalle immancabili ferite alle caviglie provocate dagli steli di
paglia ( lu ristucciu ) - cioè la parte che restava piantata nel terreno -
alta più o meno 25-30 cm. - con steli secchi, duri e taglienti sugli orli
recisi di recente che a ogni movimento mordevano le caviglie. La memoria
mi riporta vivo il ricordo degli accessori che colpivano la fantasia di noi
bambini, come ad esempio "li cannuli " , i lunghi ditali di canna con cui i
mietitori si proteggevano le dita, dal mignolo al medio, sovente l'anulare
ed il mignolo della mano sinistra erano tenuti insieme da una sottile
stringa di cuoio a protezione perché è facile immaginare che la lama della
falce passava quasi tangente alla mano sinistra e il pericolo di tagliarsi
le dita era sempre incombete. Come non ricordare poi lo strano grande chiodo
con alettature (un piccola incudine trasportabile) che infissa nel terreno
serviva a rinnovare e stendere, con sapienti colpetti di "martellina" il
filo alla falce laddove aveva urtato qualche grossa pietra. Ognuno aveva la
sua falce e dei vestiti adatti a riparare il più possibile dalla polvere e
dal sole: larghi cappelli di paglia ( le pagliette ), fazzolettoni al collo
e, spesso, piedi nudi . Il sole a picco picchiava forte e le stoppie
pungevano piedi e caviglie dei mietitori, ma c’era sempre qualcuno che amava
cantare e che ogni tanto intonava una di quelle canzoni popolari che tutti
conoscevano. Succedeva che altre voci si univano al solista atte a formare
un coro che parlava di fatica, sì, ma di fatica condivisa e per questo più
sopportabile e più umana. Il ricordo che ho di quelle giornate di
mietitura è molto nitido e il fatto che ha contribuito a segnarlo nella
mente in modo indelebile è rappresentato dalla fatica e soprattutto dal mio
mal di schiena che mi portava a un vero combattimento tra il fatto che non
volevo dimostrarmi lagnoso e sfaticato e dall’altro la determinazione di
compiere il mio dovere ed esplicare il mio compito dal quale non volevo o
potevo esimermi da portarlo a termine, insomma , anch’io dovevo fare la mia
parte a tutti i costi sia pure con sofferenza. Il sollievo arrivava a
giornata ormai avanzata quando era il momento di fare merenda tutti insieme
seduti per terra o su qualche “ cozzu” ( masso ) di cui quel terreno era
ricco e le pietraie di cui i nostri avi si era no sobbarcati di tanto lavoro
per emendare il terreno ed erano raccolti in mucchi ( specchie ), più o meno
voluminosi ed erano come sentinelle e perenni monumenti a ricordo e
testimonianza di così tante anime che avevano faticato tanto duramente.
Ovviamente il cibo era a carico della mia famiglia e il giorno prima mia
madre si era adoperata a preparare insieme al pane qualche bottiglia di
vino, un po’ di cibo conservato come i fichi secchi , pomodori , olive nere
in salamoia, una bottiglia di olio , il tutto usato come companatico per il
pane e poi c’era la tradizione che il giorno di mietitura si mangiavano
le
cozze crude tarantine , (i mitili), che preventivamente mia madre aveva
preparato e messe in un secchio con gli stracci imbevuti di acqua perché era
il mezzo corrente per conservare fresco quel tipo di vettovaglia. Era questa
una tradizione che si perdeva in tempi lontani e che immancabilmente andava
rispettata. Era un cibo graditissimo a tutti perché appagava il palato ed
era una vera leccornia che in ultimo era irrorata da qualche bicchiere di
vino, l’elisir del contadino, che appagava la sete, ristorava in modo unico
la fatica manuale e ripristinava i liquidi persi col sudore di quelle
giornate cocenti. Anch’io usufruivo di questo cibo ma non in quantità così
come avrei voluto perché mio padre sempre ossequioso e rispettoso del
bracciante che in quell’occasione lo aiutava a mietere, soleva farlo sentire
a proprio agio non lesinando sulla quantità da propinargli. Era giusto così,
perché in definitiva aveva lavorato sodo e quindi la spettanza era maggiore.
Così, dopo il pasto e una fumata di una sigaretta attorcigliata con la
tabacchiera, (non io naturalmente ), si riprendeva il lavoro fino al
completamento del raccolto. Il trasporto alla trebbiatrice era un’incombenza
che veniva di solito rimandata di qualche giorno quando si riusciva a
organizzare un viaggio con un mezzo appropriato che solitamente era un
traino col cavallo. P.S. : La trebbiatura comunque è un’altra storia e
chissà, ne parlerò in un altro momento , quando troverò la giusta
ispirazione. Auguro a tutti di trascorrere una bella estate e un periodo
di salutare riposo .
Commento all’opera “ Mietitura “
Il
contenuto specifico di questo lavoro mancava nella galleria storica di : “
Come eravamo " . È da tempo che coltivato questo tema riferito a una delle
tante realtà lavorative del nostro popolo contadino di tanti anni fa . Per
la verità nel nostro circondario salentino non vedo più campi di grano
maturo e attività inerenti alla mietitura, e così , come sempre , sono
andato indietro nel tempo quando mio padre e mio nonno materno , ad annate
alterne coltivavano il grano . In questo commento all’opera cercherò di
sintetizzare quello che risalta evidente all’osservazione del dipinto. Come
sempre , nei miei lavori, non ci sono cose da interpretare, c'è solo da
osservare ! Tutto è contenuto in una modesta dimensione di tela (50 x 70 )
e, a prima vista, sembra che il rettangolo telato sia un po' affollato. Sei
personaggi sono forse troppi , ma io ci tenevo a evidenziare la
partecipazione di diverse persone a quella incombenza, quasi sempre svolta
in ambito familiare, quindi giovani, adulti e nonni che partecipavano a
questa festa faticosa di mietere, perché comunque, di una vera festa si
trattava. Mietere il grano equivaleva ad assicurare il sostentamento delle
famiglie e questa era la ricompensa per tanto lavoro . Le posture sono
studiate e colgono i vari atteggiamenti di questa specifica attività. Posso
solo aggiungere che quando si lavora su personaggi di piccole dimensioni si
fa un'enorme fatica per cercare di ottenere le sfumature idonee a dare la
volumetria tridimensionale. In ogni modo l'ho realizzato con tanta passione
e ho voluto dare un buon cromatismo nella scelta dei colori. Spero che possa
catturare l'attenzione di quanti lo osservano e come sempre, spero che abbia
a suscitare una qualche emozione giacché l’arte pittorica è soprattutto
emozione .
Un abbraccio fraterno. Salvatore - Salvatore Malorgio ,
tugliese DOC e umile pittore.
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Tuglie...per raccontar paese...
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