Tuglie...per raccontar paese...
 
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Grecità a Parabita  -  Beni culturali: patrimonio visibile e patrimonio invisibile


Allorché si fanno riferimenti a testimonianze sulla grecità dei paesi del Capo di Leuca è usuale riferirsi ai Basiliani con i loro cenobi e laure dei cui ruderi è disseminato il nostro Salente. Particolarmente ricco è il patrimonio di icone (Santi e Madonne) presenti in numerose chiese, e per Parabita è giocoforza riferirsi in primo luogo alla Madonna della Coltura, con marginali riferimenti a Santa Marina e al Cirlicì (San Ciriaco), marginali perché ormai restano poche testimonianze pittoriche in questi luoghi dove anticamente vissero i calogeri greco-ortodossi.
Oggi, contrariamente a quanto successo negli anni passati, viene riservata grande attenzione alla salvaguardia dei beni culturali (monumenti, palazzi, tele, sculture, statue, cartapeste, affreschi, bassorilievi) e nella nostra Parabita da poco si è proceduto, mediante complessa operazione "chirurgica", al recupero di un'immagine relativa ad una santa domenicana effigiata su una parete della ex chiesa di S. Maria dell'Umiltà. I lavori relativi hanno sorpreso non poco perché, ai piedi del dipinto, è stato individuato un altro affresco precedente, ancor più pregiato, sul quale c'è ancora uno studio in corso.
La scoperta ha sensibilizzato ed entusiasmato non solo gli addetti ai lavori, ma anche coloro che hanno potuto ammirare l'opera recuperata, giovandosi contemporaneamente della spiegazione tecnica di esperti. Il risultato è stato che, guardando con i propri occhi, e ascoltando contemporaneamente la descrizione delle caratteristiche artistiche, ci si è sentiti orgogliosi di far parte di una comunità con un interessante passato storico.
Un risultato simile non lo ha però il patrimonio invisibile in quanto, mancando l'immagine che colpisca i nostri sensi, non si ha la possibilità di penetrare pienamente la sua peculiarità culturale. Negli ultimi decenni, lo sviluppo del turismo ha favorito il successo del patrimonio visibile, quello artistico-architettonico, ma non ha destinato l'importanza che meriterebbe a quello invisibile, quello immateriale; ed è su quest'ultimo che vorrei soffermarmi alquanto per offrire ai lettori di nuovAlba alcune curiosità sul nostro patrimonio linguistico che, purtroppo, come molte testimonianze culturali del passato che hanno inciso sull'identità di un popolo, son diventate dei "ruderi" destinati
inesorabilmente a sparire dalla nostra memoria.
Tralascio le filastrocche, i cunti, i miti, i culacchi, i toponimi, i titterri, i quali, pur privi delle immagini, hanno saputo dare identità a una comunità che proprio in quei valori invisibili si è riconosciuta. Contrariamente ai beni visibili, che si possono recuperare prima che vengano distrutti dall'incuria (o dal profitto?) e dal tempo, quelli invisibili son destinati a scomparire o per lo meno a modificarsi radicalmente. Tra questi ultimi, quello che più di tutti sta subendo l'annientamento è il nostro dialetto, quel dialetto che il compianto Rocco Cataldi, usandolo come suo punto di forza, seppe nobilitare nei suoi componimenti, particolarmente in Storria t' 'a Matonna t' 'a Cutura, e al quale oggi continua a dar lustro il nostro Giuseppe Greco. Un dialetto ricchissimo di termini di origine latina, con sporadiche presenze di vocaboli arabi, francesi, provenzali, spagnoli, slavi, testimonianze di dominazioni straniere o di inquinamento linguistico causato da immigrazioni avvenute con una certa ciclicità.
Quei vocaboli, però, che maggiormente mi hanno da sempre affascinato sono quei termini di origine greca che testimoniano la nostra antica appartenenza alla Magna Grecia, a Bisanzio. Sono essi che hanno permesso ai nostri padri di identificarsi linguisticamente e dei quali oggi ci rassegniamo ad assistere all'ineluttabile oblio. Vocaboli che hanno fatto parte della vita lavorativa (bolu, nachiru, purcacciu) o affettiva (assa, calieddu, immana); alimentare (cuddura, ncammarare, ncummatura) o domestica (caminea, lifona, scalisciare). Un patrimonio linguistico che ha accompagnato l'uomo nella sua travagliata vita, con particolari forme espressive ricche di una immediatezza che solo il popolo minuto sapeva cogliere appropriandosene. Questo patrimonio, bombardato dai mass-media che impongono un linguaggio sempre più colonizzato dall'inglese, non potrà perdere la sua memoria e, se noi lo vogliamo, continuerà ad indicarci le nostre radici, non per romanticismo o testardo attaccamento al passato, ma per consapevolezza della nostra storia.
E proprio perché si possa rinverdire la memoria delle nostre radici bizantine, propongo ai lettori un vocabolario di termini di origine greca, alcuni dei quali già prossimi all'oblio, unitamente ad alcuni relativi modi dire:
 

Armèculu
àschia
assa
bolu
calieddu
camastra
caminea
campie
candallini
cannàmunu
cantu
capasa
carambulare
carapoti
carassa
càrpuru
caruppatu
catapete
caùru
chianca
chiasma
chirichizzi
ciafali
cilona
cirasa
citru
còccìulu
còcculu
còtima
crasta
criddu
cuccuascia
cuddura
cùfiu
culèa
culèu
culumbu
cuntrici
dindalò
ètticu
fitu
fiusca
furneddu
fusufaufustianu
immana
isa-isa
laccu
lacquaru
lamàsciunu
làppana
lifona
limba
lippa
macari
malaria
maritile
masiricoi
mastru
matalone
mbile
mbrafatu
mendula
mieru
mina
muddica
munitula
mustazzi
naca
nachiru
ncammarare
nfiamare
niurumaru
nunnu
nzartu
oimmèna
òngulu
òsumu
parasàula
Pasca
pasuli
patu
pazulu
perchiusu
petrichì
petrusinu
picalòa
pilu-pilupisaru
pisoti
pitaccia
pitale
pitta
pòsama
pòspuru
purcacciu
puddascia
rienu
ruagnu
rucùddichi
rrufare
salanitru
sanapuddu
sarvìcula
scalisciare
scarassatu
scerzu
scìsciula
scorpu
sima
sire
sita
smarrita
sparascina
spàrgano
spasulatu
spirpa
stangatu
straficametica
tianu
togna
tòlaca
tria
tròzzula
truddi
tumu
tutumàju
ucala
ùrcuma
vastasi
zìnzulu
zirru
corbezzolo
scheggia di legno
lascia (autoimperativo)
terra rossa
bellino
catena
carbonella
bruchi
confetti con cannella
fastidio
cerchio
recipiente
cadere
mollusco marino
fessura
pietra da costruzione
tosato
un passo dopo l'altro
granchio
lastra di copertura
campo chiuso
fichi non fecondati
cervello
testuggine di mare
ciliegia
ghiaccio
mollusco monovalve
osso, occìpite
recipiente di creta
vaso per fiori
semi dei fichi
civetta
panetto
floscio
spicchio di arancia
sgombro
fiorone
ossi dell'agnello, gioco
suono di campane
tisico
sciame
pula
trullo
beccaficotessuto, veste
mamma
a stento
pozzanghera
laghetto
susina di Damasco
pesce pappagallo
puèrpera
bacile di metallo
bava delle chiocciole
magari
inchiostro del polpo
grembiule
basilico
maestro d'arte
polpo dai lunghi tentacoli
fiasco di creta
rauco
mandorla
vino
recipiente per olio
mollica di pane
fungo amanita
baffi
culla
nocchiero
guastare il digiuno
imbastire
negro amaro
padrino
grossa fune
ohimè!
baccello di fave
fiuto
pesce dracena
Pasqua
fagioli
strato
gradino
lentigginoso
pesce delle pietre
prezzemolo
gazza
bagnato fradiciovaso per olive
tronco d'albero
parte dei calzoni
orinale
focaccia
amido del vestito
fiammifero
lavoro straordinario
chioccia
origano
corda per i buoi
cavallette
aspirare il muco
geco
senape selvatica
lucertola
razzolare
socchiuso
incolto
gìggiola
rovo
cicatrice
padre
melagrana
pesce
modo di bere
falda della neve
al verde
scintilla
recipiente per alimenti
ramarro
teglia
lenza da pesca
varietà di legume
tagliatelle
puleggia del pozzo
pietruzze per giocare
timo
euforbia
boccale
perdere l'equilibrio
facchino
straccio
sgombro secco


Assa mme tegnu 'nu cìciuru mmucca
cci ssi' calieddu!
aggiu ccappatu nu beddu cannàmunu
stamu comu fiche intra 'a capasa
ne l'ave carassata
pete catapete
m'è catuta susu 'na chianca
adduporti 'u ciafali
cci te tice ddu cocculu
'a cuddura te pascaredda
immana mia!
aggiu fattu isa-isa
porcu t'ogne lacquaru
'ssamij alla lifona te Santu Linardu
a' persu i joi e ba' cìarcandu 'i nzarti
sta sente l'osumu
s'a' misa a llu pazulu
'u petrusinu t'ogne minèscia
m'aggiu mmuddatu apilu pilu
aggiu fattu sciurnata e purcacciu
'u puzzu t'i cucuddichi
rrufa Ronzu ca te sazzi
ete 'nupovuru spasulatu
aggiu pijatu ùrcuma e su' catutu.

 

  Ortensio Secli'


 
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