Tuglie...per raccontar paese...
 
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Un nido d'amore...
Un nido d’amore, gelosie ed intrighi,
ecco la storia romanzata di palazzo Ventura-Falco a Tuglie
Lungo la via Vittorio Veneto, che si dipana dal largo della chiesa di S. Giuseppe e raggiunge la periferia nord della città di Tuglie, vi è un palazzo costruito a cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, nel cuore del quartiere Rraona. A quel tempo, quando fu costruito il palazzo, era via Sannicola, fuori dall’abitato di Tuglie, che non si estendeva fino lì, anche se questo ed altri palazzi costruiti da tugliesi, consentirono a Tuglie di poter allargare i confini dell’abitato e del feudo cittadino nel 1923, inglobando il quartiere che ospita lo splendido Calvario. La nostra storia inizia, in un altro palazzo del potere, il palazzo di Don Ciccio Mariano, oggi palazzo Gabellone, si, proprio il palazzo del Presidente della Provincia di Lecce ,Antonio Gabellone in via Plebiscito. Dalla nostra ricostruzione dei fatti storici accaduti in quell’epoca, pare, che Don Ciccio Mariano potente latifondista in paese, dopo aver sposato una ricca possidente tugliese, non avendo avuto un figlio da costei,cercava disperatamente un erede da regalare alla sua casata. Così il nostro Don Ciccio, volava di fiore in fiore, in attesa di un erede, magari maschio, che potesse aiutarlo nelle faccende agricole e di potere a cui era preposto. Arriviamo così, che un bel giorno, il nostro Don Ciccio, conobbe e si invaghì di una donna per lui bellissima, una donna che, nella sua testa, doveva finalmente regalargli l’erede tanto sospirato. Questa donna, poco più che ragazzina era Maria Ventura ed aveva altre due sorelle Emilia e Marsanofia. Più avanti nel racconto vi spiego perchè nomino anche le altre due sorelle di Maria. Il ricco possidente, non sapendo come farsi notare dalla bella Maria, decide che, l’affascinante fanciulla deve vivere sotto il suo stesso tetto. Nei suoi intrighi di potere, costringe il padre di Maria a cedere la figlia come serva in casa sua, per ripagare il debito del padre, che esperto potatore, aveva danneggiato secondo Don Ciccio ed alcuni testimoni e tecnici, l’agrumeto secolare dello stesso Don Ciccio, in particolare un albero di limone, prezioso per Don Ciccio, che secondo la sua versione dei fatti, dal momento dell’intervento di potatura, non aveva più regalato frutti. Condannato al pagamento di un ingente somma, il povero padre di Maria, dovette chinare il capo, quando, Don Ciccio chiese che il debito per il danno subito, lo doveva ripagare, facendo lavorare la figlia Maria nel suo palazzo, mostrandosi addirittura generoso, propose al padre, in cambio del lavoro della figlia come governante nel palazzo di via Plebiscito, non solo l’estinguersi del debito contratto, per aver potato in maniera malsana l’albero di limone, ma anche una piccola somma di denaro in casa dei Ventura. Così inizio l’avventura di Maria in casa di Don Ciccio. Presto i due si innamorarono e dopo vari litigi fra Don Ciccio e la moglie gelosa, per le continue attenzioni che il marito rivolgeva alla serva, lo stesso Don Ciccio allontanò la fanciulla, ma solo per la quiete familiare. Continuò a vedere Maria di nascosto e costruì per lei un piccolo palazzo lungo la via di Sannicola, appunto il nostro palazzo di via Vittorio Veneto. Fece affrescare la volta della stanza da letto dal pittore di Galatina Pietro Della Gatta, in breve questa stanza divenne il loro nido d’amore. Qui Don Ciccio nonostante il figlio non arrivasse, sempre più innamorato e soggiogato dalle virtù di Maria, dimenticò i suoi dispiaceri. Le ore in quella stanza passavano liete e ricche d’amore. Per nascondere alla moglie gelosa il regalo fatto alla serva e le lunghe ore passate in quel palazzo, aveva escogitato alcuni trucchetti ingegnosi. Il primo, ritrovato dagli attuali proprietari dell’immobile è un passaggio segreto, creato appositamente per nascondere nella cantina sottostante l’amante. Si tratta di un intercapedine, creata appositamente tra le possenti mura del prospetto del palazzo e la stanza da letto. In caso di visite o altro, attraverso questo passaggio segreto, si nascondeva l’amante alla vista del pubblico. Inoltre nel dipinto della volta, oltre alle scene di viaggi esotici che Don Ciccio prometteva alla giovane, vi erano le quattro stagioni e gli amorini al centro della volta a rappresentare il loro amore eterno, che sfidava il passare del tempo e le gelosie degli altri. Per convincere la moglie, invece Don Ciccio, aveva fatto dipingere una specie di auto ritratto della signora, che da una parte serviva a rassicurare la moglie, ma che a dannazione eterna della stessa, era costretta a guardare dall’alto del soffitto, l’onta dei due amanti avvolti sotto le coperte nei loro giochi d’amore. La storia intrigante e lunga non finisce qui, vi prometto presto un altro racconto legato al palazzo di via Vittorio Veneto. Aggiungo solo che, le altre due sorelle di Maria Ventura erano Emilia, madre dell’eroe caduto in guerra nel 1941 Americo Carluccio, sergente maggiore, decorato con la croce in argento e titolare di una via del paese. L’altra sorella Marsanofia, era la bisnonna dell’attuale proprietaria dell’immobile, Marzia Falco ( che all’anagrafe risulta avere il nome della bisnonna ) e dopo varie peripezie nel 2000, la stessa Marzia riacquista il palazzo di via Vittorio Veneto, dove oggi abita con la sua famiglia, dalla famiglia Pino. Americo Carluccio nato nel 1917, dalla sorella di Maria, Emilia che aveva sposato un Carluccio, viene adottato dalla famiglia di Don Ciccio Mariano e cresciuto fino all’età di 7-8 anni ( 1924 ) nel palazzo di via Plebiscito. In quell’anno il piccolo Carluccio, viene allontanato dal palazzo perchè muore il suo protettore Don Ciccio, ma anche perchè, in quell’anno vi erano stati dei casi di contagio in paese di ” Spagnola “, altrimenti conosciuta come la Grande Influenza, una pandemia influenzale che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo. È stata descritta come la più grave forma di pandemia della storia dell’umanità, avendo ucciso più persone della terribile peste nera del XIV secolo. Venne così cresciuto lontano da Tuglie e studiò presso il convitto Colonna di Galatina, retto dai Padri Scolopi. I Carluccio finiranno per ereditare non solo il palazzo di via Plebiscito , ma anche altri lasciti di Don Ciccio, tra cui un altro palazzo nelle vicinanze di via A. Carluccio a Tuglie. I Carluccio dopo varie vicissitudini e guerre legali, essendo proprietari del palazzo di via Plebiscito, lo vendono ai Gabellone negli anni 60′ dello scorso secolo.
  Raimondo Rodia
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